Neuropsicologia
La Malattia di Alzheimer è una patologia progressiva che solitamente inizia in maniera ambigua e insidiosa.
È spesso difficile individuare l’inizio della malattia perché la storia delle demenze comincia con una fase chiamata preclinica. In questa fase le alterazioni cerebrali sono già cominciate, ma non emergono ancora dei sintomi evidenti e osservabili. Per questo motivo, la durata di questa fase non è nota in quanto difficilmente studiabile.
I sintomi iniziali dell’Alzheimer sono di solito caratterizzati da piccole ma frequenti dimenticanze (ad esempio la persona dimentica gli appuntamenti, perde spesso oggetti personali, è più ripetitiva nelle conversazioni…) e da modificazioni del carattere (calo dell’umore, aumento dell’ansia, calo d’interesse per le attività…). Spesso tale quadro non viene riconosciuto dal paziente o dai familiari e viene erroneamente attribuito all’invecchiamento oppure a periodi di stress o a depressione. Per tali motivi, in molti casi, passa oltre un anno prima che la persona decida di recarsi da uno specialista per gli approfondimenti necessari. Il sintomo principale e il primo a comparire è il calo di memoria. Di solito disordini ad altre funzioni cognitive (il linguaggio, abilità visuo-spaziali, capacità di ragionamento e organizzazione) arrivano dopo o comunque sono di entità minore rispetto al deficit di memoria.
Nei disordini del linguaggio la persona può avere difficoltà nella denominazione degli oggetti o avere difficoltà nel trovare le parole giuste durante le conversazioni, oppure può sbagliare il nome delle cose. I deficit visuo-spazali sono spesso riconoscibili durante la guida dell’auto: la persona ha difficoltà nello scegliere la strada adeguata per il raggiungimento della meta; oppure ha difficoltà nello svolgere semplici manovre come parcheggiare l’auto. Le difficoltà di pianificazione ed organizzazione si notano quando una persona necessità di molto più tempo per svolgere attività ben conosciute perché caotica e disorganizzata. È evidente che tali alterazioni cognitive sono più facilmente riconoscibili nei giovani o nelle persone che comunque continuano ad avere una vita lavorativa ed attiva; possono invece non essere riconosciute negli anziani o nelle persone che non svolgono lavori che impegnino molto le funzioni intellettive)
Spesso capita che quando il paziente si accorge di non essere più in grado di svolgere correttamente le attività, inizia a sentirsi strano, inadeguato alle situazioni ed ai compiti che svolgeva abitualmente con conseguente calo del tono dell’umore, ritiro sociale e apatia.
In alcuni casi sono i famigliari ad accorgersi del cambiamento, mentre il paziente tende a negare la presenza di difficoltà ed a trovare giustificazioni per le sue dimenticanze. Spesso, inoltre, l’esordio della malattia è attribuito ad un evento (un’operazione chirurgica o un incidente), ma in realtà queste circostante costituiscono solamente un periodo maggiormente stressante che rende più evidente gli effetti di una malattia cerebrale che era già presente.
Con il passare del tempo ed il progredire della malattia il deficit alle funzioni cognitive arriva ad essere di gravità tale da compromettere lo svolgimento autonomo della abituali attività della vita quotidiana diventando dipendente dall’assistenza di altre persone (dette care-giver). Inizialmente ad essere colpite sono le funzioni più complesse, nelle quali è richiesta maggiore competenza cognitiva. Tali funzioni sono dette ‘strumentali’ e comprendono attività quali: gestire le proprie finanze in banca, fare acquisti nei negozi, usare i mezzi di trasporto. Con il progredire della demenza vengono compromesse anche le ‘attività quotidiane di base’, come lavarsi, vestirsi e controllare la continenza urinaria.
Oltre ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive, vi sono spesso dei disturbi psico-comportamentali che si manifestano nel 90% dei pazienti e sono parte integrante della malattia di Alzheimer. La frequenza di tali disturbi e l’esordio variano da persona a persona. Questa classe di disturbi può essere suddivisa in 4 categorie:
Tendenzialmente le caratteristiche caratteriali e di personalità della persona si accentuano. Per cui: chi era ansioso diventerà ancora più ansioso, e chi era molto estroverso diventerà ancora più espansivo. In alcuni casi, ma sono più rari, si osserva un cambiamento della personalità: persone molto introverse e chiuse diventeranno disinibite e poco controllate
Attualmente non esistono indicatori biologici che permettono di effettuare una diagnosi certa, per cui si parla di diagnosi possibile o probabile. La diagnosi certa può essere fatta solo con l’autopsia prelevando ed analizzando campioni di sostanza cerebrale, tuttavia tale procedura non viene mai eseguita.
Un elemento fondamentale è la Valutazione Neuropsicologica (vedi link), ovvero l’analisi delle funzioni cognitive attraverso al somministrazione di specifici test, che solitamente costituisce il primo passo del percorso diagnostico. Se alla valutazione neuropsicologica si rilevano dei deficit il paziente viene inviato da un medico specialista (solitamente un Geriatra o un Neurologo) che attraverso l’insieme di vari dati, i principali sono gli esami del sangue ed un neuroimaging del cervello (TAC, Risonanza Magnetica o SPECT), formula la diagnosi di demenza ed eventualmente prescrive farmaci specifici in grado di rallentarne il decorso.
Le caratteristiche della malattia variano molto da persona a persona, per questo motivo solo uno specialista può essere i grado di capire se si tratta di demenza o solo di un fisiologico calo delle funzioni cognitive.
È consigliato un primo approfondimento (valutazione neuropsicologica) quando si nota un calo di memoria (ha difficoltà nell’apprendere cose nuove o a ricordare eventi recenti, è più ripetitivo nelle domande o nelle conversazioni, perde frequentemente oggetti personali o dimentica gli impegni) oppure se si nota delle difficoltà nelle abilità visuo-spaziali (ha difficoltà nel ricordare strade e percorsi) o se il paziente ha un calo di attenzione (appare distratto durante le conversazioni, ha difficoltà a mantenere al concentrazione per lunghi periodi…).
Compito dello Psicologo (meglio se esperto nella somministrazione di test neuropsicologici) è quello di rilevare la presenza di un calo delle funzioni cognitive. Come abbiamo ampiamente descritto, la presenza di deficit cognitivo costituisce il nucleo centrale delle demenze, per cui la misurazione delle funzioni intellettive si delinea come un elemento fondamentale nel percorso di diagnosi. La valutazione neuropsicologica inoltre permette di raccogliere dati essenziali per la diagnosi differenziale (ad esempio tra disturbi attentivi o di memoria) o distinguere deficit all’interno di quadri non chiari (ad esempio un calo delle funzioni cognitive all’interno di una forte depressione).
Qual’ora alla valutazione neuropsicologica si riscontrasse la presenza di un calo delle funzioni cognitive o nel caso si soffrisse di una demenza diagnosticata, è possibile effettuare dei cicli di ‘stimolazione cognitiva’.
Tra gli scopi del training vi sono quello di potenziare le funzioni cognitive residue e rallentare la progressione alle abilità risultate deficitarie.
La stimolazione cognitiva è inquadrata nell’ambito dei trattamento non-farmacologici per le demenze. Gli studi ne hanno provato l’efficacia sul miglioramento sulle abilità cognitive del paziente, sullo stato affettivo e sulla qualità di vita. Per tali motivi è stata inserita recentemente e nelle linee-guida del NICE (National Institute for Clinical Excellence) come intervento raccomandato per le persone con demenza.
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