Neuropsicologia
Alla parola Parkinson vengono spesso associati volti noti come quello del protagonista del film Ritorno al Futuro, l’attore M. J. Fox, o di Papa Wojtyla, i quali con la loro immagine pubblica hanno fatto conoscere al mondo i segni invalidanti della malattia
La cura è stata per lungo tempo esclusivamente incentrata sul trattamento farmacologico, trascurando gli aspetti psichici correlati alla malattia. Solo recentemente, grazie al miglioramento delle terapie antiparkinson e ad una visione della cura sempre più centrata sulla persona, si è cominciato a dare più attenzione a quelle che sono le risposte psicologiche rispetto ad un evento così stressante come ricevere una diagnosi di malattia a carattere progressivo.
I dati scientifici evidenziano che le problematiche psicologiche sono presenti in modo considerevole nei pazienti con malattia di Parkinson e, se non diagnosticate e adeguatamente trattate, possono avere importanti ricadute sia sul funzionamento cognitivo, sia sulla qualità della vita della persona.
Le reazioni psicologiche più frequenti sono rappresentate da depressione, ansia e attacchi di panico. Si manifestano maggiormente nelle fasi iniziali e avanzate della malattia ma, in alcuni casi, la depressione può anche precedere la comparsa dei sintomi motori.
Il vissuto viene spesso raccontato dai pazienti come “la convivenza con uno sgradevole inquilino con cui ci si trova costretti a vivere”. Improvvisamente la persona deve imparare a fare i conti quotidianamente con le fluttuazioni motorie, gli effetti di fine dose dei farmaci e con quelle giornate in cui la malattia è capace di provocare una stanchezza ed una spossatezza tale da ostacolare qualsiasi attività programmata. L’ingresso della malattia nella vita della persona è totalizzante, interviene a modificare in modo progressivo ruoli e abitudini all’interno della vita familiare, sociale e professionale.
Per fronteggiare una situazione così stressante l’individuo ricorre alle proprie difese psicologiche che, sebbene utili per gestire l’angoscia in una fase iniziale, se non adattate durante il percorso di malattia, possono rivelarsi disfunzionali nel lungo periodo. Pensiamo, per esempio, a chi reagisce spostando il focus dell’attenzione totalmente sul suo ‘stato di malato’ trascurando progressivamente i suoi interessi precedenti, o chi all’esatto opposto, continua a condurre la sua vita ignorando la diagnosi e nascondendo i sintomi agli altri. Con il passare del tempo entrambi i comportamenti, se non modificati, potrebbero avere ripercussioni importanti sulla qualità di vita della persona e sulla gestione globale della malattia.
La comunicazione di una diagnosi di malattia ha le caratteristiche di uno shock da trauma, causa nella persona stress emotivo e disagio psichico. L’uomo si percepisce come unità inviolabile ed in generale si ritiene come fosse invulnerabile. L’impatto con la malattia è la violazione di questa fantasia di perfetta integrità-invincibilità e impone il passaggio dall’essere “sani” all’essere “malati” (situazione di incertezza, minaccia di vita, cambiamenti di ruolo). La reazione psicologica è simile al processo di elaborazione del lutto per la perdita di molti aspetti della rappresentazione di sé precedenti alla malattia.
In virtù di quanto descritto è di primaria importanza promuovere interventi sulla persona che tengano conto non solo dei cambiamenti che si presentano a livello motorio ma che includano nel percorso di cura anche le problematiche che interessano la sfera psichica. A tal proposito risulta necessario proporre percorsi psicologici individuali e di gruppo mirati alla consulenza, al sostegno e alla terapia della sofferenza psichica correlata a questo articolato percorso di malattia.
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