Ansia e capacità decisionali: quale relazione?

Si dice “la fretta è cattiva consigliera”… ma che dire dell’ansia? Ecco una delle maggiori cause di errore nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione: quando siamo particolarmente tesi, ansiosi o nervosi, rischiamo fortemente di prendere un granchio. Gli effetti dell’ansia possono però essere limitati da una buon livello di intelligenza emotiva, in particolare dall’abilità di comprensione delle emozioni.
È normale: ogni volta che prendiamo una decisione siamo influenzati dal nostro stato emotivo in quel momento. La soluzione per diventare un “buon decisore” non è certo ignorare le emozioni (positive o negative che siano), ma diventare bravi a saperle interpretare: esse infatti ci possono fornire importanti informazioni sulla decisione in atto, anche se non sempre sono pertinenti ad essa. Per esempio, la discussione avuta con la figlia adolescente prima di andare a lavoro, può influenzare l’importante riunione a cui dobbiamo partecipare: se ne saremo coscienti, potremo gestire al meglio la situazione.

LA RICERCA

ansia decisioniDi questo campo d’indagine si sono occupati J. A. Yip e S. Côte, dell’Università di Yale e dell’Università di Toronto, che grazie ad alcuni esperimenti hanno dimostrato come gli individui con alti livelli di comprensione possono correttamente indentificare quali eventi causano le proprie emozioni e, in particolare, se queste emozioni sono pertinenti al compito decisionale in atto, determinando un’influenza o meno su di esso.
I partecipanti all’esperimento furono 108 studenti dell’Università di Toronto, di circa 20 anni. Lo studio è avvenuto in due sessioni: la prima, della durata di 60 minuti, avveniva in gruppo; la seconda, dopo circa 10 giorni, era individuale. Nella sessione di gruppo, i ricercatori misurarono la capacità di comprensione emotiva dei partecipanti utilizzando dei questionari.
La sessione individuale invece aveva lo scopo di verificare fino a che punto l’ansia (variabile manipolata) poteva influenzare la prestazione dei soggetti nella capacità di prendere decisioni efficaci. i partecipanti furono quindi divisi in due gruppi. Metà di loro aveva 60 secondi per preparare un discorso di tre minuti per un ipotetico colloquio di lavoro: tale discorso sarebbe stato videoregistrato e poi mostrato ad altri per la valutazione (condizione “ansia indotta”). Passato il breve tempo preparatorio, il ricercatore si assentava dicendo di dover andare a recuperare una chiavetta usb per la registrazione del video. L’altra metà dei partecipanti (condizione “neutra”) invece dovevano preparare mentalmente una lista della spesa in 60 secondi. Anche in questo caso, lo sperimentatore lasciava la stanza dicendo di dover andare a recuperare i fogli per scrivere la lista della spesa. In entrambe le condizioni, prima di lasciare la stanza, lo sperimentatore consegnava ai partecipanti dei questionari dicendo che erano per un’altra ricerca, e che comprendevano dei compiti decisionali (risk taking) e un questionario per rilevare i loro livelli di ansia in quel momento. Una volta rientrato, lo sperimentatore, comunicava ai partecipanti il reale scopo dello studio, per cui non sarebbe stato necessario effettuare il discorso o completare la lista.

I RISULTATI

I risultati emersi mostrarono che la manipolazione dell’ansia aveva avuto successo: i partecipanti nella condizione di ansia presentavano maggiori livelli di nervosismo e preoccupazione rispetto ai partecipanti della condizione neutra. Inoltre, maggiori livelli di ansia appartenevano ai soggetti con basse capacità di comprensione emotiva e ciò andava ad influire sul compito di presa di decisione a cui erano stati sottoposti.
In un secondo esperimento, con procedura simile al primo sopra descritto, venne indotta nei partecipanti anche la consapevolezza delle proprie emozioni. Ovvero, a metà del campione veniva detto esplicitamente che l’ansia che provavano in quel momento non aveva alcun collegamento con il compito decisionale a cui si stavano per sottoporre (le attività per un altro ricercatore). In questo caso, è emerso che i soggetti che erano stati resi consapevoli delle proprie emozioni, svolgevano il compito di decisione con tranquillità, anche se avevano una bassa capacità di comprensione emotiva.

IN CONCLUSIONE…

Lo studio ha così confermato che le persone con una buona intelligenza emotiva sono più capaci di riconoscere l’origine delle proprie emozioni, e quindi di agire in determinati compiti senza che il proprio operato sia influenzato da esse. In pratica, quando dobbiamo prendere una decisione importante, non dobbiamo “resettare” le nostre emozioni, dobbiamo riuscire a prestare attenzione solo a quelle che effettivamente sono rilevanti in quella situazione.

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