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Quando i bambini sono ansiosi cronicamente, anche i genitori con le migliori intenzioni possono cadere in un ciclo negativo: non volendo che il bambino soffra, finiscono in realtà per amplificare la loro ansia. Succede quando i genitori, anticipando le paure del bambino, provano a proteggerlo da esse.

Di seguito troverete dei consigli per aiutare i bambini ad uscire dal ciclo dell’ansia.

 

1. L’obiettivo non è eliminare l’ansia, ma aiutare il bambino a gestirla.

Nessuno di noi vuole vedere il proprio figlio infelice, ma il modo migliore per aiutare i bambini a superare l’ansia non è provare a rimuovere i fattori stressanti che possono provocarla. È invece di aiutarli ad imparare a tollerare la loro ansia e riuscire a comportarsi in modo più funzionale possibile, anche quando sono ansiosi. E come conseguenza di ciò, l’ansia diminuirà o scomparirà con il tempo.

2. Non evitare cose solo perchè rendono il bambino ansioso.

Aiutare i bambini ad evitare le cose di cui hanno paura li farà sentire meglio nell’immediato, ma rafforzerà l’ansia con il tempo. Se in situazioni che lo mettono a disagio un bambino diventa nervoso, inizia a piangere e i suoi genitori lo allontanano dalla cosa di cui ha paura, lui imparerà quel meccanismo di coping, e non supererà mai la sua paura.

 

 

3. Fate vedere che avete aspettative positive ma realistiche

Non potete convincere un bambino che le sue paure sono irrealistiche, che non verrà bocciato a un esame, che si divertirà a pattinare sul ghiaccio, o che un altro bambino non riderà di lui durante un’interrogazione. Potete però mostrarvi sicuri del fatto che tutto andrà bene, che sarà in grado di gestire la situazione, e che, se affronterà le sue paure, il suo livello di ansia diminuirà con il tempo. Questo dà al bambino la sicurezza di sapere che le vostre aspettative sono realistiche, e che non gli chiederete mai di fare qualcosa che non è in grado di fare.

4. Rispettate i suoi sentimenti, ma non rafforzateli.

Se un bambino è terrorizzato perchè deve andare dal dottore a fare una puntura, non dovete minimizzare le sue paure, ma non dovete neanche amplificarle. Dovete ascoltare ed essere empatici, aiutarlo a capire di cosa è ansioso, e incoraggiarlo a sentire che può affrontare le sue paure. Il messaggio che dovete trasmettere è “lo sappiamo che hai paura, e va bene così, siamo qui e ti aiuteremo a superare questa situazione”.

5. Non fate domande allusive.

Incoraggiate il vostro bambino a parlare dei suoi sentimenti, ma provate a non fare domande del tipo: “Sei ansioso per la prova? Sei preoccupato per l’interrogazione?”. Per evitare di dar adito al ciclo dell’ansia, ponete solo domande aperte: “Come ti senti riguardo la prova?”.

6. Non rafforzate le paure del bambino.

La cosa che dovete evitare è di dire con il tono di voce o con il linguaggio corporeo: “Forse dovresti avere paura di questa cosa.” Mettiamo che un bambino abbia avuto un’esperienza negativa con un cane. La volta seguente che si troverà con un cane, potreste essere preoccupati del modo in cui il bambino potrebbe reagire, e potreste involontariamente comunicargli che ha effettivamente ragione ad avere paura..

 

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7. Incoraggiate il bambino a tollerare l’ansia.

Fate sapere a vostro figlio che apprezzate lo sforzo che deve fare per gestire l’ansia e riuscire a fare ciò che vuole o deve fare. Questo porta il bambino ad impegnarsi nella vita ed a lasciare che l’ansia segua la sua curva naturale. Viene chiamata la “curva dell’abituazione”: si abbasserà con il tempo se il bambino continuerà ad entrare in contatto con ciò che gli genera stress. Può essere che l’ansia non sparisca mai totalmente o che non diminuisca così velocemente come vorreste, ma è così che superiamo le nostre paure.

8. Provate a mantenere breve il tempo d’attesa.

Quando si ha paura di qualcosa, il momento più difficile è poco prima di fare questa cosa. Quindi un’altra regola d’oro per i genitori è provare ad eliminare o a ridurre il tempo d’attesa. Se il bambino è nervoso perchè deve andare dal dottore, è meglio non iniziare a parlarne ore prima; ciò probabilmente lo renderebbe ancora più nervoso. Quindi provate a ridurre il tempo d’attesa al minimo.

9. Ragionate sulle cose con il bambino.

A volte aiuta parlare con il bambino di cosa succederebbe se una sua paura diventasse reale… Come la gestirebbe? Un bambino che ha ansia al pensiero di separarsi dai genitori potrebbe preoccuparsi di cosa succederebbe se non lo venissero a prendere a scuola. Parlatene. ”Se la mamma non venisse a prenderti dopo allenamento, cosa faresti? “Beh, direi al mio allenatore che mia mamma non c’è.” ”E cosa pensi che farebbe l’allenatore?” “Mi direbbe di chiamare la mamma. O aspetterebbe con me”. Per alcuni bambini, sapere cosa fare in certe situazioni può ridurre l’insicurezza in modo molto efficace.

10. Provate a modellare modi salutari di gestire l’ansia.

Ci sono un sacco di modi in cui potete aiutare un bambino a gestire l’ansia facendogli vedere come lo fate voi. I bambini sono recettivi, e interiorizzeranno la vostra ansia se continuate a lamentarvi al telefono con gli amici del fatto che non riuscite a gestire lo stress o l’ansia. Non dico che dovete fare finta di non essere stressati o ansiosi, ma di far vedere ai vostri figli che gestite l’ansia con tranquillità, sopportandola e superandola efficacemente.

 



Facebook si presenta come un (relativamente) nuovo ambiente di comunicazione interpersonale.
È un mezzo che, in casi estremi, può entrare anche in modo pervasivo nella nostra vita, fino ad interferire negativamente nelle relazioni interpersonali. Questi effetti negativi sono più facilmente riscontrabili nei rapporti affettivi, primo fra tutti il rapporto di coppia.




Quale relazione esiste tra un elevato utilizzo di Facebook ed i possibili esiti negativi di una relazione amorosa?

Una ricerca che ha coinvolto 205 utenti Facebook, i quali hanno compilato un questionario anonimo online, ha rilevato che un elevato uso di Facebook è associato a degli esiti negativi della relazione amorosa (rottura, divorzio, tradimento ecc.). La minor o maggiore probabilità che tali avvenimenti si realizzino, viene però influenzata dalla durata della relazione e dai cosiddetti conflitti “Facebook-relati”, ovvero quei litigi che scaturiscono a causa di un utilizzo eccessivo del social da parte di uno dei due partner.
Per indagare quest’ultimo aspetto, nel questionario è stato chiesto: “Quanto spesso ti ritrovi a discutere con il tuo partner a causa di un eccessivo uso di Facebook?” “In seguito alla vista del profilo degli amici su Facebook, quanto frequenti sono le liti con il tuo partner?”
Le stesse domande venivano poste anche a coloro che non erano attualmente impegnati in una relazione amorosa chiedendo di rispondere pensando alla relazione con il proprio/la propria ex. I risultati hanno mostrato che proprio chi riportava una maggior frequenza di questi comportamenti, ritrovandosi a litigare più spesso anche a causa del social network, riportava degli esiti negativi della relazione quali il tradimento, la separazione o il divorzio. 

Quale spiegazione?
Un elevato utilizzo di Facebook può essere impegnativo e comporta dei costi nelle relazioni interpersonali. Le persone che trascorrono la maggior parte del loro tempo nei social network sostanzialmente trascurano il partner: il tempo che si potrebbe dedicare all’altro viene invece, ad esempio, speso curiosando nei profili e nelle vite virtuali delle altre persone, tra cui anche gli ex-partner, con cui è possibile mantenere i contatti e conversare. Tutto ciò contribuisce a sviluppare una “gelosia da Facebook” ed un costante monitoraggio del comportamento online del partner, e mentre il disinteresse (diretto o indiretto) per l’altro aumenta, insieme aumentano le discussioni ed i litigi con il rischio che la relazione si sgretoli.




Tutte le coppie in cui si usa molto facebook sono a rischio?
No. Si è visto che ciò è particolarmente vero per le coppie relativamente nuove (insieme da meno di tre anni) e che invece nelle coppie più “durature” diventano meno frequenti sia il coinvolgimento in attività su Facebook che, di conseguenza, litigi all’interno della coppia dovuti al social network.
Facebook potrebbe quindi rappresentare una minaccia per delle relazioni che non sono ancora completamente mature. È stato difatti osservato che comportamenti di “controllo sull’altro” sono maggiormente probabili tra i più giovani, suggerendo che chi si trova in una relazione da poco tempo potrebbe usare delle strategie di sorveglianza come tecniche di ricerca di informazioni sul nuovo partner. Se da un lato questo potrebbe influenzare positivamente la conoscenza tra i membri della coppia per conoscere il passato di ciascuno, dall’altro lato potrebbe provocare sentimenti di gelosia. È difatti noto che Facebook aumenta la gelosia soprattutto in coppie che hanno scoperto informazioni ambigue sul profilo del proprio partner. È quindi possibile che la gelosia indotta da Facebook serva da feedback per innescare un circolo vizioso, in cui il partner usa Facebook eccessivamente per scoprire informazioni addizionali sul proprio compagno/a così da ridurre l’ambiguità delle informazioni scoperte in precedenza.

Quale utilità per risolvere i problemi di coppia?
Questi studi ci fanno comprendere che nell’analisi del benessere nelle relazioni di coppia, è opportuno considerare anche il ruolo che i social network hanno all’interno di ogni relazione. Una corretta gestione dell’utilizzo di tali mezzi può aiutare a prevenire comportamenti pericolosi per la vita stessa della coppia, quali il tradimento o la separazione.

Articolo originale: 

Clayton et al. Cheating, breakup, and divorce: is Facebook use to blame? Cyberpsychol Behav Soc Netw. 2013 Oct;16(10):717-20.

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“Se prendi un cane che muore di fame e lo nutri, non ti morderà. E’ questa la differenza principale tra un cane e un uomo.”
Mark Twain

Molti studi hanno dimostrato che il supporto sociale è un fattore importante di benessere sia fisico che psicologico, riflettendo la centralità del “senso di appartenenza” nelle nostre vite. Questo bisogno, solitamente soddisfatto dalle interazioni umane, può essere ugualmente appagato anche dai nostri animali domestici?

Delle interessanti scoperte sono emerse da un gruppo di ricercatori della Miami University e Saint Lois University, i quali hanno condotto tre studi partendo da alcune considerazioni. Dalla letteratura scientifica è noto che un maggior supporto sociale porta le persone ad avere miglior salute fisica e psicologica (maggior autostima, miglior funzionamento cardiovascolare, endocrino ed immunitario). Generalmente il supporto deriva dagli “altri significativi” per la persona, come genitori, fratelli, sorelle ed amici. Ma come ben sa chi ha un animale domestico, in questa categoria rientrano spesso anche i nostri “amici a quattro zampe” che a modo loro contribuiscono, come una qualsiasi altra persona significativa, a fornire un importante supporto sociale a chi li accudisce.




Ma gli animali domestici sono veramente in grado di fornire un supporto sociale significativo al loro padrone migliorandone benessere, felicità ed addirittura salute fisica?

I ricercatori hanno primariamente indagato le differenze tra coloro che possiedono uno o più animali domestici e chi invece non ne ha per quanto riguarda il livello di benessere, caratteristiche di personalità e stile di attaccamento.
I primi riportano delle caratteristiche di personalità associate a maggior benessere: sono più coscienziose ed estroverse, tendono ad essere più in forma fisicamente, meno isolate e ad avere un’autostima più elevata, inoltre hanno uno stile di attaccamento più sicuro. Si può ipotizzare che queste caratteristiche di personalità “più sane” portino le persone che possiedono un animale domestico ad estendere le loro competenze sociali anche ai propri ai propri amici a quattro zampe riuscendo così a beneficiare del rapporto con loro.

Accudire un animale domestico va a discapito delle relazioni con le altre persone?
Al contrario: sembra che il possedere un animale domestico, vada addirittura a migliorare le relazioni con gli altri esseri umani: le persone che nello studio hanno riportato maggior supporto sociale da parte dei loro migliori amici, genitori e fratelli erano anche coloro che riportavano maggior supporto e vicinanza ai loro animali domestici. Questo evidenzia come questi ultimi siano una fonte ulteriore ed indipendente di supporto sociale e non una fonte a cui le persone si rivolgono per compensare delle mancanze di supporto sociale da parte delle altre persone.








Tutte le persone beneficiano allo stesso modo dell’avere un animale domestico?
Sembra non essere così. Un secondo studio ha infatti dimostrato che miglior benessere si registra soprattutto tra coloro il cui animale domestico soddisfa in maggior misura i bisogni sociali del padrone. È soprattutto in questo caso che le persone riportano livelli più bassi di depressione, solitudine, maggiore autostima e felicità, ed infine, minor stress percepito.

Cosa succede in una situazione “artificiale”?
Nel terzo studio i ricercatori hanno creato una situazione sperimentale in cui i partecipanti venivano inizialmente invitati a ricordare e descrivere un episodio negativo della propria vita, che implicasse rifiuto ed esclusione sociale. In seguito, venivano divisi in tre gruppi: il primo doveva scrivere un brano riguardante il proprio animale domestico, il secondo il proprio migliore amico, il terzo doveva disegnare la mappa del campus (condizione di controllo).
Il pensiero del proprio animale domestico, tanto quanto quello del migliore amico, erano in grado di alleviare la negatività indotta dal ricordo della situazione di rifiuto sociale, risultato che non si è registrato invece nella condizione di controllo.

Questo studio permette così di evidenziare come gli animali domestici siano effettivamente delle risorse sociali per il proprio padrone, al pari delle altre persone significative.

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Articolo originale:

McConnell et al. Friends with benefits: on the positive consequences of pet ownership. J Pers Soc Psychol. 2011 Dec;101(6):1239-52.



Il rapporto di coppia non è sempre rose e fiori: litigi e conflitti non risparmiano nessuno… e per fortuna! La coppia sana, infatti, non è certo immune dal conflitto, ma piuttosto trova efficaci modi di gestirlo e superarlo.
Per comprendere cosa distingue le coppie durature da quelle che invece prima o poi arrivano al divorzio, da più di trent’anni nel “Love Lab” (Seattle), Gottman e colleghi studiano un gran numero di coppie, analizzando dati provenienti dall’osservazione diretta delle interazioni tra i partner, dalle misure delle loro attivazioni fisiologiche e dalle risposte ad interviste e questionari.

Sulla base della sua lunga esperienza, il Dr Gottman ha individuato quei comportamenti che invece di portare a una risoluzione positiva del conflitto, al contrario, lo intensificano. Li ha ribattezzati, per le loro tristi conseguenze, “I quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

 




1) CRITICARE
Lamentarsi è lecito, ma critiche e lamentele non sono la stessa cosa: mentre quest’ultima è circoscritta ad un’azione specifica, le critiche colpiscono globalmente il partner. Difatti, con una critica l’oggetto di discussione si sposta dalla situazione specifica ad un attacco più generale della personalità o del carattere del coniuge. Ad esempio, una lamentela può essere così espressa: “Mi sono spaventata l’altra sera quando sei tornato così in ritardo e non mi hai chiamata. Pensavo fossimo d’accordo che in caso di ritardo ci si avvertisse, per non far preoccupare l’altro”; diversamente da una critica: “Non pensi mai a quanto il tuo comportamento possa far del male agli altri. Non ci posso credere che tu sia così smemorato, sei solamente un egoista! Non pensi mai agli altri! Non mi pensi mai!”

2) DISPREZZARE
A seguire, nella migliore delle ipotesi il comportamento dei coniugi (verbale e non verbale) diventa sarcastico, cinico con scambi di “frecciatine” e beffe fino ad arrivare nei casi più estremi ad insulti veri e propri. Comportamenti tipici possono essere: imitare il partner per deriderlo, alzare gli occhi al cielo per quello che dice o fa, correggere sarcasticamente errori grammaticali commessi dalla compagna o dal compagno in preda alla furia della discussione. Tutto ciò umilia e fa sentire l’altro privo di valore tanto che viene considerato il peggiore tra i quattro cavalieri in quanto, negli studi decennali di Gottman, si è visto essere il primo predittore di divorzio.




3) ATTEGGIAMENTO DIFENSIVO
Quasi come naturale reazione alle critiche a cui si è soggetti, è facile adottare un comportamento di difesa in cui la colpa viene passata al partner e si assume il ruolo della “vittima della situazione”. Comportamenti tipici possono essere contrattaccare il partner con un’altra lamentela senza tener minimamente in considerazione di quanto stia dicendo, lamentarsi con frasi del tipo “Non è giusto” “Non è vero, sei tu di solito quello che…” “Non è colpa mia..” “E allora quando tu invece…”
L’insostenibilità della situazione che si viene così a creare apre le porte al quarto cavaliere, ovvero…

4) OSTRUZIONISMO
È quell’atteggiamento che viene adottato quando un partner, sentendosi sopraffatto dalla situazione, si ritira dall’interazione e non presta più ascolto a quanto gli viene detto. Piuttosto che affrontare l’argomento, l’ostruzionismo porta alla costruzione di un muro attorno a sé, che rende la persona totalmente passiva ed indifferente. Avviene quando, ad esempio, non potendone più della discussione in atto ci si gira dall’altra parte, si cominciano a fare altre cose per tenere la mente occupata da altro, si risponde a monosillabi o si passa ad un gelido silenzio.

Quando “I quattro cavalieri dell’apocalisse “ diventano la principale modalità di affrontare le discussioni di coppia, con altissima probabilità condurranno ad una conclusione infelice del rapporto e al divorzio. Nella terapia di coppia, l’attenzione dei coniugi viene portata proprio su questi quattro comportamenti i quali vengono apertamente discussi ricercando quali alternative più funzionali permettono invece una sana interazione dei partner.




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I social media come Facebook, Instagram, Snapchat, Pinterest, possono influenzare la soddisfazione che proviamo verso il nostro aspetto fisico? O, al contrario, è l’insicurezza relativa al proprio corpo che porta a cercare continue conferme attraverso la ricerca di un “mi piace”?

Un gruppo di ricercatori presso La Trobe University (Melbourne, Australia) ha studiato 101 ragazze adolescenti, di 13 anni in media, per tentare di far luce sull’uso dei social media in generale; in particolare sulla pratica del cosiddetto “Selfie” (da sole o con amici), in relazione ad aspetti psicologici quali: il dare un eccessivo valore al proprio peso ed alla forma corporea, l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, e i comportamenti di restrizione alimentare.

I dati, raccolti attraverso questionari specifici, hanno rivelato che, in generale, le adolescenti sono coinvolte in molteplici forme di attività nei social media. Tra queste, una parte consistente di ragazze (approssimativamente un 50%) ha affermato di scattare selfies almeno una volta alla settimana e di condividerli regolarmente nei social. I ricercatori hanno quindi identificato due tipi di gruppi: ragazze maggiormente attive nello scattare Selfie per condividerli nei propri profili, e coloro che invece non riportano di essere particolarmente coinvolte in queste attività.

Quali differenze si sono potute osservare tra i due gruppi?
Le adolescenti che condividevano con maggior frequenza autoscatti riportavano anche una sopravvalutazione della forma e peso corporei, associati ad una maggior insoddisfazione del proprio aspetto fisico ed una più profonda interiorizzazione dell’ideale di bellezza proposto dai media.
Inoltre, all’interno di questo gruppo i ricercatori hanno cercato di indagare il livello di coinvolgimento nella scelta delle foto, rilevabile dalle preoccupazioni riguardo alla qualità degli scatti e gli sforzi spesi nello scegliere quale tra tutte le foto scattate condividere sul proprio profilo, insieme anche ad un altro aspetto che può essere chiamato “manipolazione delle foto”, il quale comprende l’alterare alcune parti delle foto attraverso programmi di fotoritocco. In questo studio, le ragazze che più frequentemente manipolavano le foto prima di condividerle e che riportavano di investire più tempo ed energie in questa attività, riferivano anche una maggior quantità di preoccupazioni riguardo al proprio aspetto fisico ed all’alimentazione.

Quali interpretazioni?

selfie di Miley Cyrus, cantante molto apprezzata dagli adolescenti: i media stessi e i VIP influenzano l'ideale di bellezza di tutti noi.
selfie di Miley Cyrus, cantante molto apprezzata dagli adolescenti: i media stessi e i VIP influenzano l’ideale di bellezza di tutti noi.

È probabile che le ragazze maggiormente preoccupate del proprio aspetto fisico tendano anche a curare aspetti, per loro rilevanti, di come appariranno agli occhi degli altri attraverso la manipolazione delle proprie foto, così da condividere delle immagini di sé vicine al proprio ideale di bellezza. Inoltre, l’essere coinvolte “attivamente” nel presentare l’immagine desiderata, insieme al continuo confrontarsi con le immagini pubblicate dagli altri ed il poter ricevere e fare commenti, contribuisce a sviluppare un esame minuzioso di sé, che conduce a sviluppare delle preoccupazioni relative al “come si appare agli altri”. Questo è un aspetto importante presente solo nei social media, i quali a differenza di media più passivi come la televisione, pongono la persona nelle condizioni sia di poter fare che ricevere giudizi. Infine, il coinvolgimento nei social media può essere ricercato dalle persone con elevate preoccupazioni relative al proprio corpo che cercano gratificazioni nelle “rassicurazioni e valutazioni della loro attrattiva fisica e sociale” da parte degli altri.
Si delinea così un rapporto di causa-effetto che va in entrambe le direzioni, tra l’utilizzo dei social media e le preoccupazioni riguardo al proprio aspetto fisico: le ragazze che hanno maggiori insicurezze relative all’aspetto fisico sarebbero maggiormente inclini ad attività che danno importanza all’apparenza; ed a sua volta, il coinvolgimento in attività che si focalizzano sull’aspetto fisico della persona, come l’investimento e la manipolazione delle foto, alimenta le preoccupazioni relative al proprio corpo, che sono a loro volta strettamente legati all’insorgere di disturbi alimentari come l’anoressia e la bulimia.

Articolo originale:
McLean et al. Photoshopping the selfie: Self photo editing and photo investment are associated with body dissatisfaction in adolescent girls. International Journal of Eating Disorders, 2015, in stampa.

 

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Il razzismo è un sistema organizzato entro una società, che provoca un’ingiusta disuguaglianza nella distribuzione del potere, delle risorse e delle opportunità tra diversi gruppi etnici o razze. Si può manifestare attraverso convinzioni, stereotipi, pregiudizi o discriminazioni.
Il razzismo persiste ancora oggi come causa di esclusione, conflitto e svantaggio su scala globale, ma il suo effetto va ben oltre. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che il razzismo fa male alla salute di chi lo subisce, influenzandola nei suoi diversi aspetti sia fisici che psicologici.

In un recentissimo articolo pubblicato su PLoS One , sono stati ri-analizzati statisticamente i risultati di 293 studi pubblicati tra il 1983 ed il 2013, mediante una cosiddetta “meta-analisi”. Oltre a confermare le precedenti conoscenze sul legame esistente tra razzismo subìto e salute fisica e psicologica, esso ha portato a nuovi risultati.
Gli articoli presi in considerazione si proponevano di analizzare la relazione esistente tra il razzismo riferito da ogni partecipante ed il suo livello di salute fisica e psicologica.
La prima variabile (razzismo) è stata misurata considerando molteplici misure, tra cui: l’autovalutazione delle esperienze di razzismo vissute direttamente dal soggetto; esperienze vicarie di razzismo come l’aver assistito ad episodi di discriminazione vissuti da familiari o amici; razzismo interiorizzato che consiste nell’incorporazione nella propria visione del mondo di atteggiamenti o convinzioni razziste.




La seconda variabile (salute) è stata rilevata con 3 tipi di misure: (1) salute mentale, sia sul versante negativo considerando depressione, ansia, stress psicologico, che sul versante positivo con indici di autostima, soddisfazione di vita e benessere; (2) misure della salute fisica come pressione sanguigna ed ipertensione, sovrappeso, malattie cardiache e diabete; (3) indicatori del benessere generale comprendenti sensazioni che rientrano in entrambe le categorie precedenti.

I risultati hanno evidenziato come livelli più elevati di razzismo subìto siano associati ad una più scarsa salute mentale (con maggiori episodi di depressione, ansia e stress psicologico), più scarso benessere generale e più scarsa salute fisica. Variabili quali l’età, il sesso, il luogo di nascita ed il livello scolastico della persona non sembrano influenzare questo effetto, che viene invece significativamente influenzato dall’etnia di appartenenza.
Difatti, l’associazione tra razzismo e minor salute mentale e fisica è più forte per gli asioamericani ed i latino-americani rispetto agli afro-americani. Queste scoperte suggeriscono che gli afro-americani potrebbero aver sviluppato delle capacità di resilienza più forti rispetto agli altri gruppi. La resilienza è la capacità di superare in modo efficace agli eventi avversi della vita.

Attraverso quali meccanismi fisiologici può il razzismo avere un effetto sulla salute fisica e psicologica delle sue vittime?
Un’esposizione cronica al razzismo potrebbe causare una disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che a sua volte può danneggiare il sistema corporeo e condurre a malattie cardiovascolari, psicosomatiche ed obesità. Si tratta infatti dello stesso circuito biologico che regola le risposte allo stress prolungato. L’impatto del razzismo sulle regioni cerebrali cognitivo-affettive come la corteccia prefrontale, corteccia cingolata anteriore, amigdala e talamo, condivide invece delle somiglianze con le vie che inducono ad ansia, depressione e psicosi. Studi di neuroimaging hanno infatti identificato l’attivazione di queste regioni in risposta al rifiuto sociale, le quali sono a loro volta analoghe alle regioni che si attivano per il dolore fisico.

Sembra quindi che il razzismo produca dei costi per la società in cui è più diffuso: infatti, un incremento delle malattie sia fisiche che mentali, porterà a maggiori costi sanitari per lo Stato: il razzismo, quindi, logora sia chi lo subisce che chi lo mette in pratica.

Articolo originale: 
Paradies et al. Racism as a Determinant of Health: A Systematic Review and Meta-AnalysisPLoS One. 2015 Sep 23;10(9)

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Negli ultimi 20 anni, la quantità di coppie il cui primo incontro è avvenuto su internet è aumentata ininterrottamente. Non solo: al giorno d’oggi sono cambiate anche le modalità con cui una relazione romantica si sviluppa; ad esempio si parla di escalation internet-assistita”, composta da un iniziale incontro faccia a faccia che prosegue con diverse interazioni online (chat, whatsapp, facebook), in seguito alle quali le persone coinvolte cominciano a frequentarsi anche nella vita offline. Tuttavia, in parecchi casi questa sequenza può essere interrotta se uno dei due potenziali partner riporta sul proprio profilo Facebook di essere già impegnato ufficialmente.

Un anello di fidanzamento digitale?
Sin dai tempi più antichi, l’oggetto simbolico più popolare per rappresentare il legame esistente tra due persone è l’anello nuziale o di fidanzamento. Ma nell’era del web 2.0, i nuovi ambienti di interazione non permettono di ostentare fisicamente un tale simbolo che viene quindi trasposto nell’ambiente virtuale con la personale decisione di dichiarare la propria situazione sentimentale. Essere “Ufficialmente impegnati” su Facebook può essere considerato come una specie di anello digitale per la nuova generazione. Il volerlo indicare è una scelta deliberata della persona, proprio come si può decidere o meno di indossare un anello. Alcune ricerche hanno dimostrato che questa scelta può essere interpretata come un segnale che la coppia vuole dare di essere “fuori dal mercato”, riflettendo inoltre una nuova dimensione della relazione in cui il partner riconosce pubblicamente il suo impegno e coinvolgimento.

Quali differenze vi sono tra coloro che decidono di rendere pubblica la propria situazione sentimentale su un social network e coloro che invece decidono deliberatamente di non farlo?
La risposta arriva da uno studio che ha coinvolto 532 ungheresi di età compresa tra i 16 e 69 anni, di cui 292 impegnati in una relazione al momento della compilazione del questionario. In questo sottocampione una parte non riportava sul proprio profilo Facebook la situazione sentimentale, un’altra parte invece manifestava pubblicamente il proprio coinvolgimento in una relazione amorosa.
I ricercatori hanno confrontato in modo particolare le differenze relative ai livelli di amore romantico e di gelosia riportati da questi due gruppi attraverso la compilazione di un questionario online.
I risultati raccolti hanno dimostrato come coloro che dichiarano la propria situazione sentimentale su Facebook – facendo comparire il nome del partner o meno – riportano dei sentimenti di amore più forti verso il partner rispetto a coloro che decidono di non condividere tale informazione. Inoltre, i primi riportano anche livelli più elevati di gelosia, il che potrebbe indicare la volontà di proteggere la relazione, fornendo una maggiore sicurezza per ridurre possibili minacce. Altri studi infatti riportano come la maggior parte degli utenti Facebook possiede tra i propri amici ex-fidanzati/e, inoltre più del 90% dei rispondenti afferma che il loro partner presenta tra gli amici persone che loro non conoscono, il che potrebbe contribuire ad elevare i livelli di incertezza e quindi di gelosia.
Il legame esistente tra amore romantico e gelosia è ragionevole in una relazione consolidata, difatti la durata media della relazione nel presente studio è di circa tre anni. Le persone che provano un amore romantico più elevato sono sensibili alle minacce alla loro relazione in diversi contesti. Facebook è un contesto alquanto speciale, che facilita l’interazione con ex-partner e potenziali rivali ed a causa di queste sue caratteristiche potrebbe indebolire la stabilità della coppia. Da un lato, le persone che provano un intenso amore verso i loro partner sono più gelosi in questo contesto; dall’altro, per le stesse ragioni, sono più motivati ad esprimere il loro impegno sui social, proprio con il fine di proteggere la relazione.

È comunque da tener presente che questi risultati non ci danno informazioni sul rapporto causale: non è chiaro infatti se più alti livelli di amore e gelosia predicono la scelta di voler dichiarare la propria situazione sentimentale, o se sia invece l’opposto: e se fosse l’annunciare la propria relazione ad aumentare l’amore e la gelosia in una coppia?

 

Articolo originale:

Elevated romantic love and jealousy if relationship status is declared on Facebook. Front. Psychol., 26 February 2015

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Il rapporto sessuale attraversa diverse fasi: inizia dal desiderio, si trasforma in eccitazione e piacere, e culmina nell’orgasmo. L’orgasmo viene definito come un’emozione estrema, paragonabile a una scarica di energia e tensione, seguita da un profondo stato di rilassamento, definito “fase di risoluzione”. La fase dell’orgasmo consiste infatti nel picco del piacere fisico e mentale, cui segue una diminuzione della tensione fino al totale rilassamento, dato da contrazioni ritmiche dei muscoli perineali e degli organi riproduttivi.
Come per le altre fasi del rapporto sessuale, anche per l’orgasmo esistono disturbi che colpiscono sia gli uomini che le donne.

DISTURBO DELL’ORGASMO MASCHILE

Negli uomini l’orgasmo coincide con l’’eiaculazione: per questo il disturbo dell’orgasmo maschile si presenta come un ritardo nell’eiaculazione. Nonostante una buona risposta agli stimoli sessuali e un buon mantenimento dell’erezione, in presenza di tale disturbo l’uomo non riesce ad innescare il riflesso orgasmico. Di solito il disturbo si presenta durante il coito ma non durante la masturbazione o con altre fonti di stimolazione. Un ritardo dell’eiaculazione può essere un fenomeno normale se si presenta sporadicamente, ma se si associa all’ansia da prestazione, tende a presentarsi più frequentemente fino a diventare un vero e proprio disturbo permanente. Per l’uomo infatti l’efficienza sessuale è uno degli elementi che concorrono alla costruzione di una soddisfacente immagine di sé, che viene minata quando la propria prestazione fallisce a causa della paura di non essere all’altezza delle aspettative della partner o di non riuscire a terminare la prestazione.
Le cause dell’eiaculazione ritardata sono sia mediche che psicologiche. Tra le cause mediche abbiamo malattie cardiovascolari, lesioni spinali, uso di psicofarmaci o di sostanze stupefacenti.
Tra le cause psicologiche, il disturbo è riconducibile ai seguenti fattori:
Educazione familiare e/o religiosa rigida e sessuofobica: convinzioni che complicano il rapporto con il proprio corpo, con la propria sessualità e con il sesso in genere;
Ansia da prestazione: è il fattore più frequente, anche se in genere è un effetto secondario e non la causa primaria del problema;
Desiderio eccessivo di compiacere il/la partner, caratterizzato da pensieri automatici ed errate convinzioni riguardo il proprio ruolo. Es: “Un vero uomo deve durare molto tempo per soddisfare sessualmente una donna”;
Paura (più o meno consapevole) di mettere incinta la partner;
Traumi relativi alla sfera sessuale;
– Caratteristiche di personalità come bassa autostima, ipercontrollo.
Problematiche nel rapporto di coppia: mancanza di fiducia, mancanza di calore nella relazione, rabbia o ostilità repressa nei confronti del partner;
Depressione.

DISTURBO DELL’ORGASMO FEMMINILE

Il disturbo dell’orgasmo femminile viene chiamato anche anorgasmia: si tratta di una condizione clinica che impedisce alla donna di arrivare al piacere durante l’atto sessuale, nonostante adeguate manovre di eccitazione. Anche per le donne le cause del disturbo possono essere sia mediche che psicologiche. Tra le cause mediche abbiamo malattie ormonali, lesioni del midollo spinale, uso di antidepressivi e abuso di sostanze. Tra le cause psicologiche troviamo:
Traumi sessuali pregressi: abuso sessuale e/o fisico, aborto;
Educazione familiare e/o religiosa rigida e sessuofobica;
Informazione sessuale inadeguata: aspettative erronee o negative riguardo al rapporto sessuale;
Timore di perdere il controllo: la paura di dire o fare qualcosa di sconveniente, di lasciarsi andare, di apparire al partner in modo diverso, non favorisce il rilassamento e lo stato di abbandono necessario per sperimentare l’orgasmo;
Scarsa conoscenza della propria sessualità e del proprio corpo;
Inadeguato rapporto con il partner: la scarsa intimità e/o l’alta conflittualità sfociano in una maggiore rigidità durante i rapporti, soprattutto in presenza di nuovi partner;
Ansia da prestazione: la donna insegue continuamente l’orgasmo come dimostrazione di normalità o di amore per il partner, così che l’ansia finisce per inibire l’orgasmo e mantenere il disturbo;
Depressione.
Il disturbo può essere infine dovuto ad erronee convinzioni riguardanti la natura dell’orgasmo: esiste infatti la falsa credenza che l’orgasmo vaginale sia quello più maturo ed appagante rispetto a quello clitorideo; perciò alcune donne che non riescono a raggiungerlo tendono a sentirsi inadeguate, con conseguente disagio e senso di colpa.

TRATTAMENTO PSICOLOGICO

Una volta escluse le cause di natura medica, il trattamento si concentra sugli aspetti psicologici, attraverso vari approcci:
Psicoeducazione: aumento della conoscenza dell’anatomia sessuale e del ciclo di risposta sessuale, miglioramento della consapevolezza del proprio corpo, comprensione dei fattori fisiologici e psicologici coinvolti nel rapporto sessuale, esame delle credenze e dei miti comuni inerenti il sesso;
Training per la riduzione dell’ansia mediante tecniche di rilassamento;
Training di abilità sessuali;
Tecniche di sensibilizzazione focalizzata: la donna, da sola o insieme al partner, impara a toccarsi nel modo che preferisce al fine di raggiungere l’orgasmo;
Ristrutturazione cognitiva – messa in discussione delle erronee attribuzioni più o meno consapevoli che non permettono di godere appieno dell’esperienza sessuale;
Miglioramento della comunicazione e dei rapporti interpersonali all’interno della coppia – durante l’attività sessuale e al di fuori di essa;
Terapia di coppia (se necessaria): eliminare rabbia, rancori, conflitti o altre problematiche all’interno della coppia che non permettono una buona vicinanza fisica e/o emotiva;



Non tutti amiamo allo stesso modo. Gli studi scientifici confermano che esistono ampie differenze individuali negli orientamenti dell’amore romantico, ma le origini di queste differenze sono ancora poco chiare. Infatti, non sono ancora stati individuati con precisione i fattori genetici che influenzano i diversi stili d’amore. Sicuramente il modo in cui cresciamo, l’ambiente che ci circonda, il modo di amarci dei nostri genitori è un fattore determinante il nostro modo di amare in età adulta. Ma in che misura siamo influenzati dal nostro DNA?

 

LA RICERCA. 

amore_DNAUno studio condotto nel 1994 da Niels Waller e Philip Shaver, dell’Università della California, ha cercato di verificare se i vari stili amorosi possano dipendere anche da fattori genetici oltre che ambientali. Per verificare ciò lo studio è stato condotto su coppie di gemelli, sia sposate che single, con un’età compresa tra i 34 e i 98 anni. Le coppie di gemelli vengono spesso utilizzate per studiare le influenze genetiche del comportamento: i gemelli monozigoti infatti condividono tra loro il 100% del patrimonio genetico, quindi eventuali differenze tra gemelli sarebbero imputabili sicuramente a cause ambientali. Gli autori della ricerca hanno ipotizzato che, se è vero che il DNA influenza il modo di amare, i gemelli monozigoti (che condividono il 100% dell’eredità genetica) dovrebbero presentare una maggiore similitudine nei comportamenti amorosi, rispetto ai gemelli dizigoti (che condividono tra loro solo il 50% dei geni). La rilevazione degli stili d’amore venne effettuata tramite la compilazione di un questionario, il LAS (Love Attitude Scale), in riferimento al modello a sei dimensioni dell’amore proposto da Lee. Secondo questo modello esistono sei stili di comportamento in amore, ognuno caratterizzato da diversi atteggiamenti e comportamenti. Le sei dimensioni così indagate sono:

– Stile Eros: gli individui danno molto valore all’amore passionale, sono sicuri di sé, godono dell’initimità e si innamorano abbastanza rapidamente. Un esempio di domanda relativa a questa dimensione è: “Io e il mio partner siamo stati attratti l’uno dall’altra subito dopo che ci siamo conosciuti”;

– Stile Ludus: è un amore che viene “giocato”, gli amanti ludici sono più interessati alla quantità che alla qualità della relazione; vogliono divertirsi il più possibile, tendono a vedere il matrimonio come una trappola, sono gli amanti che, con più probabilità, saranno infedeli in quanto vedono il sesso come una sfida in cui impegnarsi e vincere. Esempio di domanda “Cerco di non dare certezze al partner sul mio impegno nei suoi confronti”;

– Stile Storge: stile di amore che si sviluppa gradualmente da un’iniziale amicizia, che dura anche quando il rapporto finisce. Gli amanti con uno stile Storge si impegnano molto per far funzionare il rapporto ed hanno una forte motivazione a non commettere infedeltà e a salvaguardare la fiducia che il partner prova nei loro confronti. Es.: “E’ difficile per me dire esattamente quando la nostra amicizia si trasformò in amore”;

– Stile Pragma: identifica un amore guidato dalla testa e non dal cuore, gli amanti pragmatici valutano attentamente i costi e i benefici che possono trarre da una relazione, vedono nell’amore un lavoro da effettuare con il partner al fine di raggiungere un obiettivo comune. Es.: “Prima di impegnarmi con il mio partner ho valutato cosa lui/lei potrebbe diventare in futuro nella mia vita”;

– Stile Mania: è contraddistinto da una bassa autostima degli amanti, in virtù di ciò essi hanno bisogno dell’altro. L’amore è ardentemente desiderato, ma spesso causa dolori e malesseri anche a livello fisico. Es: “Quando le cose con il mio partner non vanno bene, mi viene mal di stomaco”;

– Stile Agape: gli amanti che presentano questo stile sono spesso persone spirituali o religiose. Essi vedono i loro partner come una benedizione e desiderano ardentemente prendersi cura di loro per evitare qualsiasi loro sofferenza. Es: “Cerco sempre di aiutare il mio partner nei momenti difficili”.

In base alle risposte date per ogni dimensione, veniva poi indicato il profilo dei comportamenti d’amore di ogni soggetto e confrontato con quello del proprio gemello. Successivamente, venivano anche rilevati i tratti di personalità dei soggetti tramite un altro questionario, l’IPS, che individua la gamma degli stili individuali di personalità di ogni soggetto, già precedentemente utilizzato in studi su gemelli. 

 

Quanto conta quindi la genetica?

I risultati emersi, in contrasto con le ipotesi iniziali, indicarono che nei gemelli omozigoti non vi era maggiore concordanza di stili amorosi rispetto ai gemelli dizigoti. Le differenze tra fratelli erano infatti simili nei due gruppi. Ciò sta a significare che i fattori genetici non hanno alcuna influenza nelle loro determinazioni: le similitudini presenti tra gemelli sono quindi da riferire all’esperienza condivisa, più che al patrimonio genetico. Determinante è l’influenza ambientale, in particolar modo l’ambiente familiare durante l’infanzia. Infatti, lo stile relazionale che presentiamo da adulti dipende in larga misura dallo stile di attaccamento (sicuro-insicuro) e dallo stile amoroso dei propri genitori: è proprio in questo contesto che i bambini apprendono il modo di amare che successivamente metteranno in atto. Tuttavia, altre differenze individuali tra gemelli sono dovute ai diversi ambienti frequentati, come il gruppo dei pari di cui ci si circondavano, dagli altri adulti in genere con cui interagivano (es. parenti, insegnanti, ecc..). Un ulteriore fattore che sembra giocare un ruolo nella determinazione dei propri stili comportamentali in amore sono il tipo di partner avuto in passato e il grado di stabilità e soddisfazione con il quale si vivono le proprie relazioni.

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Bibliografia

The Importance of Nongenetic Influences on Romantic Love Styles: A Twin-Family Study. Psychological Science 1994, 5 (5) 268-274



COS’È IL FETICISMO

La parola “feticcio” deriva dalla lingua portoghese: i mercanti di schiavi usavano questo termine per indicare gli oggetti adorati dagli indigeni africani, ritenuti sacri dalle popolazioni locali. Il feticismo infatti è una forma di perversione sessuale per cui si prova piacere sessuale esclusivamente a contatto con un oggetto specifico, una parte del corpo o una qualità. Infatti, all’interno di questa parafilia, il feticcio diviene quasi come un “oggetto di culto”, essenziale all’eccitazione e al piacere sessuale.

Ma tranquillizziamoci: un certo grado di feticismo rientra abitualmente nell’ambito della sessualità normale, può aggiungere un pizzico di pepe al rapporto con il partner e assecondare le fantasie erotiche di ognuno di noi in modo assolutamente sano. La condizione diventa patologica solo quando il feticcio arriva a sostituirsi completamente al coito, o quando esso diventa oggetto sessuale esclusivo: il partner non è più un compagno con cui condividere il piacere, ma un semplice veicolo del feticcio stesso.

GLI OGGETTI-FETICCIO PIÙ DIFFUSI

-una specifica parte del corpo (i più comuni sono seno, natiche, piedi, mani, gambe; ma anche altre parti meno consuete come ascelle, naso e peli),

caratteristiche o condizioni particolari: donne incinte, cicatrici o mutilazioni, estremo sovrappeso;

fluidi o escreti biologici: il sudore, la saliva, l’urina e le feci;

-oggetti inanimati: biancheria intima, calze, guanti, scarpe, materiali specifici come latex, pelle, pvc.

 

FORME DI FETICISMO

Secondo lo psicologo Alfred Binet l’“amore normale” è il risultato di una complicata forma di feticismo, e lo classifica in due forme:

“amore spirituale” : è caratterizzato dalla devozione di specifici fenomeni mentali, come i comportamenti, le classi sociali o i ruoli. In questo caso il feticismo si manifesta come “gioco delle parti” durante il rapporto, scaturito da un’ossessione verso un dato comportamento;

“amore plastico”: si riferisce alla devozione ad oggetti materiali come parti del corpo o oggetti inanimati; infatti per alcuni feticisti, vedere, sentire, annusare, inghiottire o palpare l’oggetto della propria attrazione è importante almeno quanto il coito ordinale, se non addirittura di più.

dangling: far dondolare una scarpa parzialmente indossata.
dangling: far dondolare una scarpa parzialmente indossata.

Le pratiche feticistiche possono essere raggruppabili anche in base al canale sensoriale coinvolto: alcuni si eccitano principalmente guardando (ad esempio con il cosiddetto dangling –in foto-), altri annusando, altri toccando materiali specifici.

Ogni feticista può utilizzare il proprio oggetto in tre diverse modalità:

Modalità attiva, in cui il feticista usa attivamente il feticcio;

Modalità passiva, in cui vuole che il feticcio sia in qualche modo usato su di lui da un’altra persona;

Modalità contemplativa, in cui si trae piacere dalla semplice contemplazione dei feticci collezionati.

Come abbiamo già detto però, una preferenza per un qualcosa di inusuale non implica necessariamente la presenza di feticismo, che può esistere in una certa gradualità:

– ad un primo livello è presente una leggera preferenza per certi tipi di partner, stimoli o attività sessuali, tuttavia non risulta appropriato l’utilizzo del termine fetish;

livello 2: bassa intensità di feticismo, caratterizzato da una preferenza più marcata per i casi citati nel primo livello;

livello 3: moderata intensità di feticismo, dove sono necessari degli stimoli specifici per consentire l’eccitazione e la prestazione sessuale;

livello 4: alto livello di feticismo, in quanto gli stimoli specifici prendono il posto del partner.

LA SUBCULTURA FETISH

Considerato fino a qualche tempo fa una perversione malsana e da condannare, al giorno d’oggi il feticismo non solo sta entrando nelle abitudini sessuali diffuse, ma estende la propria influenza nella moda e nell’arte. Esistono riviste specializzate, blog, forum e siti internet che permettono di mettere in contatto gli appassionati; e appositi locali organizzano spesso degli eventi a tema a cui partecipare o assistere. La stessa frequentazione di sexy shop ormai non è più un tabù per il sesso femminile, al punto che si stanno diffondendo anche in Italia catene di negozi pensati appositamente per le donne.

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